Viene ribadito il generale divieto di foraggiamento dei cinghiali posto dall’art. 7, comma 2, della legge n. 221/2015, ad esclusione di quello finalizzato alle attività di controllo della fauna selvatica.
Richiamando anche la sentenza della Corte Costituzionale 17 febbraio 2021, n. 21, il TAR Umbria ha chiarito che il controllo della fauna è attività qualitativamente differente dall’attività venatoria, anche di selezione. Il controllo, infatti si qualifica come “un’attività che non è svolta per fini venatori, in quanto attiene prevalentemente alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, pur intrecciandosi funzionalmente anche con finalità riconducibili a competenze regionali concorrenti o residuali (tutela del suolo e tutela delle produzioni zoo-agro-forestali)”.
***
Il TAR Umbria si pronuncia sull’impugnazione, proposta da Legambiente Umbria, dell’art. 8 del disciplinare per la caccia di selezione agli ungulati approvato con determinazione dirigenziale n. 4953 del 24.05.2021 nella parte in cui prevede, al comma 8, che «al fine di contribuire attraverso la caccia di selezione alla mitigazione degli impatti del Cinghiale sulle attività antropiche e nella prospettiva di ridurre lo sforzo di caccia, è consentito il foraggiamento del Cinghiale per fini attrattivi su punti di sparo» ed attribuisce, al comma 13, la competenza ad autorizzare detta pratica agli ATC.
La censura muove dalla considerazione che l’attività di foraggiamento dei cinghiali è espressamente vietata su tutto il territorio nazionale dall’art. 7, c. 2, della legge n. 221/2015 e penalmente sanzionata dall’art. 30, c. 1, lett. l), della legge n. 157/1992, con la sola esclusione del foraggiamento finalizzato per attività di controllo ai sensi dell’art. 19 della stessa legge n. 157/1992.
Pertanto, dovendosi distinguere tra l’attività venatoria, nella quale rientra anche la caccia di selezione, e l’attività di controllo, le impugnate disposizioni del disciplinare per la caccia di selezione sarebbero illegittime perché consentirebbero il foraggiamento per attività non rientranti nel controllo/contenimento della fauna selvatica, in violazione delle disposizioni di legge vigenti in materia e dello stesso sistema di riparto della potestà legislativa tra lo Stato e le regioni in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, c. 2, lett. s), Cost.) e della riserva di legge in materia penale (art. 25 Cost.).
Il TAR Umbria richiama una rilevante pronuncia della Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza del 17 febbraio 2021 n. 21, ha chiarito che il controllo della fauna selvatica è attività qualitativamente differente dall’attività venatoria, anche di selezione. Con detta sentenza, alla luce di alcune condizioni specifiche di ordine sia normativo sia fattuale (il ridimensionamento delle funzioni provinciali e del relativo personale; l’aumento della popolazione di determinate specie di fauna selvatica, in particolare ungulati), la Corte ha parzialmente rimeditato l’orientamento che considerava tassativo l’elenco dei soggetti coinvolti nell’attuazione dei piani di abbattimento nell’esercizio dell’attività di controllo, salvando dall’incostituzionalità le norme della Regione Toscana (oggetto del giudizio di legittimità costituzionale) che consentivano all’Amministrazione di avvalersi, per l’attuazione di detti piani, di “guardie venatorie volontarie” e di “guardie ambientali volontarie”, nonché di guardie giurate, purché adeguatamente preparate sulla normativa ambientale di riferimento.
Cionondimeno, la Consulta ha tenuto ferma la distinzione tra l’esercizio dell’attività venatoria, anche di selezione, e l’attività di controllo faunistico. Quest’ultimo, infatti, si qualifica come un’attività che non è svolta per fini venatori, in quanto attiene prevalentemente alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (Corte cost., sentenza n. 217 del 2018), pur intrecciandosi funzionalmente anche con finalità riconducibili a competenze regionali concorrenti o residuali (tutela del suolo e tutela delle produzioni zoo-agro-forestali).
Per questo motivo tale attività, diretta a realizzare il «controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia», da un lato viene assegnata alle Regioni, dall’altro viene procedimentalizzata, prevedendo il rispetto di un principio di gradualità. Essa, infatti, deve essere svolta «di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica», mentre solo in caso di verificata inefficacia di tali metodi le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento, che, a loro volta, devono essere «attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali», cui è consentito avvalersi anche di altri soggetti, però specificamente indicati. Secondo la Corte costituzionale, l’attività sopra indicata, esercitata per finalità di tutela ambientale, non può essere confusa con l’attività di carattere meramente venatorio, seppur “qualificata”, come la caccia di selezione, tanto da dover essere dichiarato incostituzionale l’art. 37, c. 4-ter, della legge regionale della Toscana n. 3/1994 nella parte in cui consentiva la partecipazione ai piani di abbattimento i cacciatori abilitati alla caccia di selezione, equiparandoli a quelli formati e selezionati, sulla base di programmi concordati con l’ISPRA, per l’esercizio del controllo faunistico. Dunque, conclude la Corte, deve trovare conferma la giurisprudenza «che ha costantemente escluso che l’elenco dei soggetti abilitati a partecipare alla realizzazione dei piani di abbattimento possa essere integrato attraverso il mero coinvolgimento dei cacciatori (da ultimo, sentenze n. 44 del 2019 e n. 217 del 2018), senza quindi la previsione di specifici e adeguati programmi di formazione in materia di tutela ambientale».
Il TAR Umbria ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale poiché ha ritenuto che nel giudizio innanzi ad esso pendente, avviato da Legambiente Umbria, fosse emersa una questione di legittimità del disciplinare per la caccia e di selezione agli ungulati selvatici negli AATC umbri e del disciplinare per il recupero degli ungulati feriti, approvato con determinazione dirigenziale n. 4953 del 24.05.2021.
La disposizione in questione contravviene al generale divieto di foraggiamento dei cinghiali posto dall’art. 7, c. 2, della legge n. 221/2015 e non integra l’ipotesi in cui il foraggiamento è dalla stessa norma eccezionalmente consentito in quanto finalizzato allo svolgimento delle attività di controllo. Infatti, la disposizione non prevede alcuna graduazione delle misure di controllo imposta dall’art. 19, c. 2, della legge n. 157/1992, secondo il quale dovrebbe essere privilegiato, in prima battuta, il ricorso a metodi ecologici di selezione e, solo in caso di verificata inefficacia di questi ultimi, alla approvazione di piani di abbattimento.
Né risulta che il foraggiamento del cinghiale per fini attrattivi su punti di sparo, consentito dalle disposizioni censurate, si inserisca nell’attuazione di piani di abbattimento approvati secondo le modalità stabilite dalla suddetta norma di legge. Peraltro, anche qualora fossero approvati detti ultimi piani, alla loro attuazione dovrebbero essere preposte le guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, le quali potrebbero avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, e delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio, nonché, alla luce dell’apertura della Corte costituzionale con la sentenza sopra citata, di “guardie venatorie volontarie” e di “guardie ambientali volontarie”, nonché di guardie giurate, purché adeguatamente preparate sulla normativa di riferimento attraverso specifici e adeguati programmi di formazione in materia di tutela ambientale.
L’art. 8, c. 11, del disciplinare impugnato, al contrario, consente il foraggiamento dei cinghiali per attrarli sui punti di sparo ai dichiarati fini di mitigare gli impatti del cinghiale sulle attività antropiche e di ridurre lo sforzo di caccia, limitandosi a consentire tale pratica ai cacciatori di selezione nell’esercizio della loro attività venatoria. Il foraggiamento, così come circostanziato, non presenta alcun elemento valido che possa ricondurlo nell’ambito dell’attività di controllo della fauna selvatica.
Per tali ragioni, il TAR Umbria conclude affermando che “la disposizione impugnata deve ritenersi chiaramente in contrasto con il divieto generale di foraggiamento posto dalla legge statale e penalmente presidiato e, pertanto, con gli artt. 117, c. 2, lett. s), e 25 della Costituzione”.