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Viene ribadito il potere esercitato, nel caso di specie, dalla Provincia Autonoma di Trento di negare la richiesta avanzata dalla Sezione cacciatori di Terragnolo dell’Associazione cacciatori trentini di modifica dell’estensione delle riserve di caccia di Terragnolo e di Trambileno.

Il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi sul rigetto da parte Tribunale di Giustizia Amministrativa del Trentino-Alto Adige dell’istanza con cui la Sezione cacciatori di Terragnolo dell’Associazione cacciatori trentini chiedeva la modifica dell’estensione delle riserve di caccia di Terragnolo e di Trambileno.

Secondo il Consiglio di Stato, “qualunque intervento in materia di caccia, in base all’art. 1 della l.p. 24/1991, deve essere orientato alla tutela dell’equilibrio dell’ambiente e del patrimonio faunistico e sulla base di questa premessa ritiene che il legame fra diritto di proprietà e attività venatoria non assume carattere di indissolubilità, ma risulta cedevole e deve essere contemperato con altri interessi”. Tale chiarimento si è reso necessario a fronte della permanenza nell’ambito della legge sulla caccia vigente nella Provincia Autonoma di Trento (l.p. 24/1991) del c.d. “regime riservistico” (art. 23), ai sensi del quale viene, per l’appunto, riservato il diritto di caccia nel territorio corrispondente, in primo luogo, al “cacciatore di diritto”, ovvero in linea di principio “al soggetto che risieda nell’ambito territoriale della riserva da un certo tempo”. Si tratta di un’eredità del previgente ordinamento austro-ungarico che, sempre in linea di principio, riservava la caccia su un determinato territorio a chi ne fosse proprietario e, nel caso di estensioni di terreno inferiori ad una certa entità, ai cittadini di un dato Comune, considerato come proprietario di quel territorio.

La rilevanza di tali retaggi di natura storica, sicuramente importanti, appare, tuttavia ad avviso del Consiglio di Stato, del tutto secondaria rispetto alla principale finalità di tutela ambientale cui deve essere preordinata la gestione dell’attività venatoria.

Di conseguenza, si conclude per la non sussistenza dei presupposti per accogliere la richiesta di modifica di estensione, che, a detta del Consiglio di Stato, “non sarebbe funzionale ad una migliore tutela del patrimonio faunistico pubblico potendo al contrario determinare uno squilibrio del rapporto, attualmente equilibrato, fra numero dei cacciatori, superficie delle riserve e numero dei capi cacciabili”.